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Giustizia: ripresa lenta, tra incertezze e disagi.

Giustizia: ripresa lenta, tra incertezze e disagi. La ripresa dell'attività giudiziaria dopo la pausa dovuta alla pandemia si sta rivelando assai lenta e farraginosa, con disagi ed incertezze a non finire. Era del resto prevedibile che, in mancanza di un coordinamento centrale, l'affidamento della regolamentazione dello svolgimento di processi ed udienze ai singoli responsabili degli uffici giudiziari avrebbe dato luogo a disomogeneità e problematiche non di poco conto. I responsabili degli uffici hanno provveduto adottando i cosiddetti “protocolli”, sorta di manuali per l’uso, disciplinanti ogni aspetto dell’attività, dall’accesso ad aule, cancellerie ed uffici vari, allo svolgimento delle udienze. E’ stata una proliferazione quasi abnorme di provvedimenti, se ne sono avuti per ogni uso e consumo, da quelli distrettuali a quelli circondariali, dal tributario all’amministrativo, dal civile al penale. Protocolli ovviamente adottati ed adattati rispetto alle esigenze avvertite in loco e sentiti i riferimenti locali dei servizi amministrativi, della magistratura e dell’avvocatura. Avendo ogni protocollo disposto in modo autonomo in ordine all’andamento delle quotidiane attività giudiziarie, con giorni, orari e sistemi in base alle esigenze del luogo, è agevole comprendere quali e quanti possano essere i disagi per l’avvocatura e l’utenza. Di fatto, oltre a conoscere il protocollo, anzi i protocolli del proprio Foro, l’avvocato che deve fare udienza o accedere ai servizi di altro ufficio deve necessariamente documentarsi preventivamente su prassi e disposizioni locali per evitare cattive soprese. Per non dire dei tempi infinitamente dilatati degli adempimenti, con cancellerie che aprono in giorni ed orari sfalsati ed uffici Unep che operano solo su prenotazioni a medio-lungo termine. Insomma, tribunale che cerchi, prassi che trovi. Ancora più complesso è il discorso delle udienze, con uffici in cui è invalso il criterio di rinviare quelle ordinarie da settembre in avanti, a quelli in cui prevale l’orientamento di fissarne in modalità scritta o cartolare che dir si voglia, a quelli in cui si tengono udienze da remoto, a quelli in cui non c’è un orientamento generale ed ogni giudice si regola come vuole. La speranza è che una volta arrivati al giro di boa del 31 luglio si torni da settembre alla normalità, pur se con le dovute cautele e precauzioni. Del resto, se hanno già riaperto attività ben più a rischio, quali quelle della ristorazione, a breve dei cinema e teatri, non è dato proprio comprendere perché i palazzi di giustizia, al cui interno i controlli sono alquanto più agevoli, debbano conoscere sorte diversa, procrastinando ulteriormente il ritorno alla normalità. In fondo gli uffici giudiziari non sembrano presentare criticità maggiori degli ipermercati, dove pure si incontrano normalmente avvocati, giudici, impiegati, funzionari intenti a fare acquisti. E quindi è da chiedersi perché un servizio essenziale come quello della giustizia debba restare ancora al palo. Cui prodest ? Non certo agli avvocati. Molto si è parlato ed ancora si parlerà di mantenere anche più in là del 31 luglio le udienze in modalità cartolare o da remoto. Non sono pochi gli operatori che vorrebbero conservare anche successivamente queste modalità di svolgimento, sul presupposto della maggiore facilità di far fronte agli impegni senza muoversi dal proprio studio o ufficio. Se aperture per le udienze da remoto, parliamo di rito civile, potranno farsene per quelle caratterizzate da formalità ed adempimenti non richiedenti la necessaria presenza fisica in aula, lo stesso discorso non può farsi per la generalizzazione di questa modalità ed ancor meno per quello che viene definito come processo scritto o cartolare, affidato esclusivamente o quasi ad atti difensivi formali. Ancor più valgano le ragioni sul fronte del processo penale, laddove l’adozione di tali sistemi comporterebbe un grave pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa. Ciò potrebbe comportare entro tempi non lunghissimi quella che è stata definita la dematerializzazione del processo civile, ossia il suo svolgimento virtuale, senza dover accedere all’aula. Lo scenario possibile ed ipotizzabile è stato ben delineato in un recente scritto del prof. Scarselli , che si è dilettato ad immaginare quanto potrebbe accadere al processo civile qualora non dovesse essere più necessario presenziare all’udienza in aula: alla smaterializzazione della figura dell’avvocato farebbe seguito anche quella del tribunale e infine quella del giudice. Tutto o quasi potrebbe diventare virtuale, dal difensore, al palazzo di giustizia, finanche il magistrato. Su tutto, gli algoritmi, che convocherebbero le parti davanti ad un tribunale senza dimensione spaziale, ad un giudice destinato a diventare anch’esso virtuale, dato che di giudice robot e di giustizia predittiva si parlava già prima della pandemia. E dunque una globale dematerializzazione della giustizia, che comporterebbe il venir meno anche dei palazzi di giustizia, che non costituiranno più luogo di incontro. Morirà, dice Scarselli, l’idea del Forum di romana memoria, ci sarà un processo senza regole predeterminate, con risoluzioni predittive, che non avrà più bisogno ne’ di avvocati ne’ di giudici in senso tradizionale. Ci sarà allora da riscrivere la costituzione, perché tutto quanto sopra descritto nulla ha a che vedere col sistema giustizia che ha finora risposto decorosamente alle aspettative della collettività e che più che di udienze scritte o da remoto necessiterebbe invece di investimenti per risorse umane e tecnologiche. E ci sarà da riscrivere anche i codici perché gli stessi artt. 128 c.p.c. e 471 c.p.p. stabiliscono che “L’udienza è pubblica a pena di nullità”. “Siano dunque date – conclude Scarselli nel suo scritto, e ritengo di condividere totalmente il suo pensiero - udienze cartolari o a remoto fino a questa estate, ma nessuno ritenga che queste possano costituire il nostro futuro, perché il nostro futuro, ce lo auguriamo per noi e i nostri figli, deve vedere ancora una giustizia in grado di mettere al centro l’uomo e la sua comunicazione con gli altri uomini, una giustizia che faccia dell’incontro il fulcro della sua funzione, che abbia bisogno dei suoi tempi e dei suoi dubbi, e abbia anche, e le sopporteremo, quelle imperfezioni che sono i tratti inevitabili dell’essere umano”. * Consigliere nazionale ANF

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